Martina Riva rivamart

Nasco nel ‘90, e forse per questo, per essere nata all’inizio dell’ultimo decennio prima del 21esimo secolo porto con me sia tutte le aspettative della generazione che mi precede che di quella nella quale sono cresciuta. Forse per questo racchiudo in me questo delicato passaggio generazionale di cui abbraccio e al tempo stesso rifiuto molti canoni, incarnando ogni contrasto sia nel pensiero personale che nel modo di fare arte: non mi sono mai piaciute le etichette. L’arte ha sempre fatto parte della mia vita, e lo ha fatto in molteplici forme: come rifugio grazie ai primi disegni che mi hanno portata a desiderare di intraprendere studi artistici cui poi mi sono costretta a rinunciare, o come mondo nel quale immergermi per forza di cose solamente per passione, trasformando lentamente schizzi a penna di volti femminili in figure piene di malinconia, di quello “spleen” che ho ritrovato nei poeti francesi appresi durante l’adolescenza e che si sono impressi nella mia anima. So solamente che disegnare mi fa star bene, così come tutto ciò che è legato all’arte, ma finché non ho raggiunto l’età adulta e non sono riuscita a sbocciare, accettandomi in tutte le mie peculiarità fuori dalle righe, non ho avuto il coraggio di prendere in mano un pennello e gettare su tela tutte le emozioni che mi ribollono dentro. Da quando l’ho fatto per la prima volta, nel 2022, non sono più riuscita a smettere. Restano i ritratti di donne, ma sono più espressionisti perché la voglia diventa quella di tirare fuori, di sperimentare con il materico perché mi affascina vedere come l’olio quando si asciuga crea montagne e aumenta l’intensità di quel dettaglio sulla tela. Molte di quelle donne forse mi assomigliano, o comunque tutte racchiudono qualcosa di me, e comincio a dipingere seguendo solamente le emozioni, frustrazioni, desideri, speranze, rabbia, o mi vedo di colpo circondata da colori come fiori o fuochi d’artificio. Da materico il tratto si fa più fluente e poi torna di nuovo a colare fuori dalla tela, assieme al coraggio di abbandonare il mio perfezionismo, la ricerca di tecnica e perfezione che ho sempre applicato nel disegno in bianco e nero finalmente lasciata da parte, perchè quello che conta dopo una vita passata a tenere tutto dentro è solamente tirare finalmente fuori, vomitare un concetto che pulsa dentro per liberarmi. Mi ci è voluto un po’ per capire che se dipingere è tutto ciò che mi porta libertà e felicità potrei renderlo un’occupazione a tempo pieno, e con l’inizio del 2024 mi sono messa finalmente in gioco iscrivendomi a concorsi, cercando luoghi dove esporre e trovando il mio esordio a marzo per una collettiva tutta al femminile in provincia di Pavia, sfidando il timore di non essere apprezzata perché finalmente, superati i trent’anni, ciò che conta è esprimermi e comunicare con chi prova tante emozioni quante ne provo io. Anche le tele si fanno più ampie, aumentano gli strumenti che da semplici pennelli si fanno spatole, fili ed oggetti di ogni tipo, e i contrasti di colore anch’essi diventano più netti, mentre resta l’idea che ad emergere da uno sfondo acquatico, emozionale, siano sempre sprazzi delle mie idee, del femminile incarcerato e liberato, di passione, che sia sessuale o estro artistico: conta non venga più trattenuta, in primis dalla mia stessa idea di me che, ormai, è obsoleta. Faccio arte per liberarmi e per liberare chi è stanco delle sue stesse catene.

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