MITI – Serafino, il Casanova delle bocce

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Chiacchieri con Serafino Gatti e fai le ore piccole. Simpatico, istrionico, genuino. Una vita alla Steve Mc Queen. Un campione di bocce da leggenda. Per raccontare chi è stato e cosa ha fatto “Micio” ci vorrebbe un libro di oltre mille pagine, tante quanto sono state le vittorie che gli hanno fatto luccicare gli occhi sui campi di tutta la Penisola.
Bocce, ballo, donne. Le sue tre grandi passioni. “Ho frequentato fin da ragazzo le balere – racconta sorridendo – ed il ballo era un modo per conoscere le ragazze. Ero il ballerino più richiesto. Ancora oggi, alla mia veneranda età, vado nelle sale da ballo. Mi piace la compagnia femminile,l a musica, tirare tardi. Non andrei mai a letto. Sono sempre stato un animale notturno”. Enrico Buscaglia, l’amico angelo custode che gli sta al fianco da una vita, conferma: “E’ sempre stato così. Spesso la domenica notte, al rientro da una gara, faceva un salto al Dancing Tabù di Bressana”.Serafino compirà 85 anni a maggio. E’ nato ad Argine di Bressana Bottarone, una manciata di chilometri da Pavia, un paesino che quando lui venne al mondo contava qualche centinaio di abitanti ma ben tre bocciofile. Ha lavorato fin da bambino in campagna perché, orfano di padre e ultimogenito di tre sorelle, doveva aiutare la mamma a tirare avanti la famiglia. Dava una mano allo zio Eugenio, commerciante di bestiame e agricoltore. Sveglio ed energico, si mise ben presto da solo. Comperò un po’ di terra, poi una stalla per bovini. Fece fortuna. “Ho gestito tutto fino al 2010. Poi sono andato in pensione e mi sono tesserato con il Club Arancione di Bressana. Non riesco a smettere con le bocce. L’ultima gara l’ho vinta nel 2018. Ovviamente era individuale”.
Nel 1960 sposa Franca. “L’ho conosciuta in una sala da ballo in paese. Aveva sedici anni, io due di più. Faceva la sarta in casa”. Nascono quattro figli: Paola, Daniela, Milena e Giuseppe. “Le femmine si sono tutte sistemate molto bene e lavorano in posti di grande responsabilità. Giuseppe, purtroppo, ci ha lasciati due anni fa”. Messa su famiglia, a cui non ha mai fatto mancare nulla, Serafino non ha però smesso di correre dietro alle gonnelle.”Le donne mi sono sempre piaciute. Ne ho conosciute e frequentate tante anche nell’ambiente delle bocce. Mia moglie è sempre stata una santa. Sapeva tutto, ma sopportava per il bene della famiglia, per il quieto vivere”.
Annusa per la prima volta le bocce da ragazzino accompagnando zio Eugenio alle gare nei paesi vicini. Poi si appassiona al calcio. Fa il centravanti nelle squadre giovanili locali e mostra subito talento. Nel 1959 Il Genoa gli mette gli occhi addosso. Lo vuole in serie A. Ma un infortunio di gioco, la rottura dei legamenti del ginocchio destro quando giocava con il Garlasco in quarta serie, gli taglia la carriera. Si fa un nome anche nel biliardo. A 24 anni, nel 1960, riscopre le bocce. E non le molla più. Diventa subito una star della raffa. Cinque volte campione d’Italia, oltre 1000 vittorie tra parate di campioni, tornei e gare. Un fenomeno. Cavallo pazzo, Cassius Clay delle bocce, Pelè della raffa, Micio. I soprannomi si sprecano. Quando arriva lui sul campo ci si spintona per vederlo. Ha un gioco imprevedibile, tira e colpisce di raffa e di volo all’estremità della corsia, dà spettacolo. Un funambolo della boccia sintetica. “Tiro di volo, di raffa, sottomano con il giro, anche di sinistro pur essendo io un destro, tiro al pallino a qualsiasi distanza. Mi viene naturale, colpisco quasi sempre. E’ quello che piace al pubblico. Gioco solo per divertire la gente, non mi importa se qualche volta perdo perché ho voluto strafare. A me piace dare spettacolo. A volte mi rivolgevo alle tribune: ‘come lo volete il tiro?’. ‘Di volo’ gridavano. E volo sia!”. Pum. Centro. Gli applausi non finivano mai. Micio. Ruffiano come un gatto, faceva passerella.
L’albo d’oro. Mette a segno il primo botto nel 1969 a Ferrara con la maglia del comitato di Voghera. Lui, individualista nato, vince il suo primo titolo italiano nelle coppie nei campionati dell’allora Fisb con a fianco Piero Talotti. Giocava da tempo per la Magazzini di Bressana e scalpitava per poter dimostrare la sua bravura. “Il comitato non voleva inviarmi ai campionati italiani perché il posto spettava a Romano Scampoli. Lui, individualista di prim’ ordine, era ben visto dai dirigenti e dai tecnici. Intoccabile. Ero quindi chiuso. Per me non c’era spazio e futuro”. Così, nella stagione 1974, decide di cambiare aria. Oltrepassa il Po e si tessera per il comitato di Pavia. Maglia del Gruppo bocciofilo Cooperativa di Mezzana Corti, una frazione di Cava Manara, guidata dal presidente più giovane d’Italia, 24 anni, Enrico Buscaglia. “Un amico eccezionale con cui è nata un’amicizia che dura tutt’oggi”. La società era sponsorizzata da Rinaldo Barbierato un commerciante di mobili. Finalmente poteva far vedere che nel gioco di singolo non aveva rivali. Nel 1977, nei campionati italiani di Reggio Emilia, batte in finale Rino Nencini di Firenze. L’anno dopo concede il bis a Macerata contro il milanese Corti. Buscaglia, che oramai per Serafino era diventato il segretario, l’autista, il tuttofare, meglio di un papà, ricorda un simpatico episodio di quel campionato. “Il sabato sera, vinte le eliminatorie, facciamo due passi in centro e poi a nanna. Dormivamo sempre in una camera con due letti. Prima di salire Serafino adocchia nel salotto una ragazza che guarda la tv. Si ferma. Mi fa segno con la mano di andarmene. E’ quasi mezzanotte. Sono già a letto. Arriva di corsa, entra in bagno, sento scorrere l’acqua. Esce e fruga in valigia. Si è fatto la barba. Si cambia mutande e camicia. Gli chiedo cosa sta succedendo. ‘Quella povera ragazza è venuta a trovare il fidanzato militare per fargli una sorpresa ma lui era di guardia. Così la porto a fare un giretto per consolarla, andiamo a bere qualcosa’. Ritorna in bagno a pettinarsi. Salto come un fulmine dal letto, chiudo la porta e nascondo la chiave in una scarpa. Mi ha minacciato. Non ho ceduto. Eravamo al 3° piano. Nessuna via di fuga. Si rassegnò. L’indomani vinse il titolo italiano. Ancora oggi mi rinfaccia quello sgarbo”.
Serafino ha 44 anni quando vince il suo terzo titolo da individualista nei campionati di Cagliari del 1980, il tricolore della Federazione unificata. Nel 1981 a Como trionfa per la quarta volta. Si era alzato alle cinque del mattino a sistemare mucche e vitelli per poi buttarsi nella bolgia del Pianella di Cucciago. Cinquemila in tribuna.
E’domenica 30 agosto. Impallina in finale Dante D’Alessandro per 15 a 13. E’ oramai diventato un mito. Se avesse avuto un pizzico di modestia, detto qualche signorsì e amato anche il gioco di squadra avrebbe incantato il mondo. Ma le aquile volano sole. Viene convocato 13 volte nella nazionale. Ma la porta dei mondiali per lui è sempre chiusa. “Non ci tenevo molto alla maglia azzurra pur se mi sentivo onorato di indossarla. Nei quadrangolari noi italiani eravamo sempre i più forti e prevalere contro avversari nettamente inferiori non mi dava molta soddisfazione. E poi ho sempre avuto un rapporto complicato con il citì Bassi. A me piaceva giocare sempre per lo spettacolo e a lui questo non andava giù”. Effettivamente il commissario degli azzurri non stravedeva per il fantasista di Bressana. Al giornalista della Gazzetta dello Sport, che lo intervistò alla vigilia dei campionati italiani di Pesaro del 198, Bassi spiegò che “Serafino è un ragazzo estroso, imprevedibile. Lui non gioca per la squadra ma ama divertire, sorprendere. E’ un giocatore che dà spettacolo perché è in grado di fare dei tiri e dei colpi molto belli”.
E’ una primadonna anche in coppia. Il 1982 è una stagione d’oro, irripetibile. Gioca con Bruno Suardi. Record di 50 vittorie su 52 gare di cui 28 nazionali. In quegli anni i tabelloni contavano spesso 1024 individualisti o 512 coppie. Altri tempi. Per vincere ci volevano gli attributi. “Bruno è stato un compagno affidabile, aveva grinta e mestiere. Ma aveva un carattere un po’chiuso. Giocava per il monte premi, per portare a casa soldi per la famiglia. Ogni sconfitta era denaro perduto. Lavorava solo lui, faceva il netturbino al Comune di Pavia, era sposato con sei figli piccoli e viveva in una casa in affitto”. Buscaglia ricorda: “Li accompagnavo a giocare in macchina, due persone diverse in tutto. Bruno non parlava quasi mai, Serafino non stava mai zitto e spesso si divertiva a prenderlo in giro. Nel giugno 1981 stavamo andando a Pavia per giocare il Trofeo Comodi, una 512 coppie nazionale. Per tutto il viaggio Serafino lo stuzzicò. Fermi ad un semaforo, Suardi scese improvvisamente dall’auto gridando che non voleva più giocare con Serafino. Riuscii a calmarlo. Risalì in macchina. In campo i due non si guardarono e non si parlarono tutto il giorno. Otto partite. Arrivati in finale, appena tolte le bocce dalla borsa, Serafino si è avvicinato a Suardi e gli ha sussurrato qualcosa nell’orecchio. Di colpo è cambiato lo scenario. Due sposi. Diedero spettacolo vincendo per 15 a 6 tra gli applausi. Suardi sorrideva felice come non lo avevo mai visto. Solo l’indomani Serafino mi confidò perché era avvenuto il miracolo. Gli aveva sussurrato: ‘Se vinciamo, per farmi perdonare, ti lascio tutta la busta’”.

Daniele Di Chiara (giornalista e storico Sport bocce)